ANEDDOTI E APPUNTI DI VIAGGIO


Il divano di Scott

"Scottish hospitality". Non ho mai afferrato il vero senso di questa espressione, e ho spesso pensato fosse un luogo comune, fino al giorno dell'incontro con Scott.
A dire il vero si trattò di un favore non richiesto, e i vantaggi che ne abbiamo tratto sono stati superati ampiamente dai danni, ma è stata comunque l'occasione di familiarizzare con esponenti della vera, colorita umanità locale.
Eravamo in una via poco distante dal centro di Edimburgo, ma relativamente distaccata dal caos del week-end cittadino. Stavamo cenando con il solito vassoio di fish & chips, su una fredda panchina di metallo, l'unica in quello stretto marciapiede. Improvvisamente sentiamo delle voci provenire dalla sommità del muretto alle nostre spalle, e voltandoci scorgiamo due teste interessate - senza ombra di dubbio - a noi e al nostro pasto.
Scende un ragazzo, piuttosto ben vestito e dall'aspetto ordinato, che ci saluta cordialmente e si presenta:
- "Siete turisti? Io sono Scott, homeless, dormo qui dietro il muro…"
Ci presentiamo, e dopo aver scambiato qualche frase di circostanza - superando l'ostacolo del forte dialetto scozzese - il nostro Scott ci confida di avere una certa fame, e chiede due pounds. Essendo quello il nostro ultimo giorno a Edimburgo, non ci avanzavano ormai pounds per nessuno, ma il vassoio con il pesce fritto era una presenza troppo ingombrante per far finta di nulla, così ci offriamo di dividere la nostra cena.
Ma Scott - affermando di non essere un tipo da pesce - rifiuta e per ingraziarsi le nostre simpatie e finalmente ottenere i due pounds necessari a placare la sua sete di whisky, inizia ad indicarci e consigliarci locali ambigui da lui frequentati e a mimare i dribbling di Totti per poi esultare al grido totalmente fuori luogo di "Lazioooo!!!".
Ecco arrivare anche l'altro homeless: lui sì, dall'aspetto piuttosto consunto, che al contrario non disdegna l'eglefino panato e si aggira con la sua forchettina di plastica pescando voracemente qua e là dai nostri vassoi, subito imitato dall'ormai rassegnato Scott.
- "Ma qui state scomodi, il sedile è freddo, abbiamo qualcosa che fa per voi, dietro il muro…"
In pochi istanti l'amico di Scott scompare per poi tornare spingendo sul marciapiede un enorme sofà imbottito in ottimo stato, su cui veniamo invitati insistentemente ad accomodarci!
Scott, che tutto il tempo aveva tenuto in mano una lattina di Coca Cola, prima di salutarci chiarisce di non essere neanche un tipo da bibite analcoliche, e fa annusare a Cristiano il contenuto del barattolo: alcool puro, il suo commento.
Ci accomiatiamo dagli homeless, io mi affretto a finire le poche briciole fredde di fish & chips rimaste, Scott rifiuta ironicamente di stringermi la mano unta (la forchetta nel frattempo ha fatto una brutta fine) e salutandoci esclama con voce fiera e stringendo il pugno:
- "Yes, we're homeless. But STRONG!"
Infine, la sua espressione orgogliosa si scioglie in un sorriso beffardo e veniamo bonariamente benedetti dal suo dito medio alzato. "Scottish hospitality", senza dubbio!

(Mauro, 29/9/04)


Mauro e i cinesi

Cari miei come rispondereste alla domanda: Quanti sono i Cinesi?

Immagino che alcuni direbbero: Che ne so... un paio de miliardi.
Io, semplicemente risponderei con candore : Troppi...
Il nostro simpatico felsineo (Mauro, per i fuori dal giro) risponderebbe: Sicuramente due di troppo!

La storia

I° Episodio

Oban (Scozia del Nord), ostello backpackers, sala comune, io e i soci notiamo un semplice cinesino ultra logorroico, attaccava la pippa con chiunque... fin qui niente di strano.
Una volta assegnatici i letti, e dopo aver fatto la doccia, decidiamo di andare a fare la nanna; il caro Mauretto (uomo di sana precisione) mette le proprie ciabatte ad asciugare sul termosifone. Il termosifone in questione si trovava praticamente sotto il naso del cinese logorroico, che prontamente nel suo inglese perfetto fa al nostro: “senti potresti togliere le tue fottute ciabatte da sotto il mio naso che mandano un odore non proprio piacevole... sai io qui ci dormo...”. Mauro, invece di rispondergli: “Mai vai a farti fottere muso giallo del cazzo”, gli fa: “Certo mi dispiace aver arrecato tale noia olfattiva al tuo prezioso nasino, figlio dell’impero celeste”

II° Episodio

Glasgow (Scozia?...), ostello Blueskye (molto carattere...). Io e i soci dopo esserci praticamente spaccati il culo per arrivare dalla stazione degli autobus all’ostello in questione, con il nostro carico di valige sotto una fine piogerellina che ”allietava” il calvario, riusciamo ad avere una sistemazione decente: una stanza da quattro. Noi in tre, non c’aveva detto malissimo, quasi una cazzuta suite.
Si va a dormire... la mattina dopo scambio un tizio che si aggirava per la stanza per il nostro caro Massi e gli faccio: “Ah Massi ‘ddo vai?”, lui: “guarda che non sono io... è il quarto!“. Beh, per essere precisi era il secondo, il secondo cinese che aveva rotto i coglioni al nostro caro Mauro... Nella notte, infatti, il cinese era imboccato in stanza mettendosi a dormire nel letto sopra la testa di Mauro, svegliandolo e fracassando o quasi, per fortuna del Mauro (certo se te fosse crollato sopra me sarei spaccato troppo!!!) il fragile lettino a castello, mettendolo in uno stato d’ansia tale da costringerlo a riparasi il viso con le mani rivolte al buio, e a pregare di non aver un incontro troppo traumatico con l’incursore notturno

Concludendo:
Cina batte Bologna 2 a zero!

(Cri, 20/10/04)


La fermentazione del mosto

Per un viaggiatore che intraprenda un tour della Scozia, la visita ad una distilleria è quasi d’obbligo, a meno che non sia un astemio o un ex-alcolista.
In realtà – poiché ben sette distillerie sono situate nella zona dello Speyside a breve distanza l’una dall’altra – la cosa ideale sarebbe seguire il percorso ben segnalato denominato Whisky Trail e sostare in ciascuna di esse in una sorta di godereccia via crucis.
Non voglio dilungarmi sulle piccole disavventure che ci hanno impedito di portare la nostra croce alle stazioni di Glenfiddich, Strathisla, Dallas Dhu, etc., fatto sta che il tempo ci ha consentito solo due visite: Glen Grant e Glenlivet. Due sole, ma fruttuose.
Arriviamo alle antiche costruzioni in mattoni anneriti della Glen Grant, e ben presto siamo colpiti da un penetrante odore dolciastro di cereale in fermentazione, odore che seguiamo come i Magi con la cometa (altra metafora religiosa: evidentemente è stata un’esperienza al limite del mistico) e che ci conduce in adorazione verso un alambicco di rame, annusando avidamente l’aria ed emettendo gemiti di piacere a sottolineare la nostra alcolica estasi.
La visita si rivela un’esauriente carrellata sulle fasi che trasformano una ciotola di orzo in malto, in mosto, in distillato, in pregiata acquavite single malt invecchiata. Apprendiamo che gli scarti di lavorazione sono riciclati per produrre mangimi animali per mucche e pecore, specie in effetti piuttosto mansuete, forse grazie al perenne stato d’ebbrezza. La guida (prototipo della signora britannica), un’insegnante si sarebbe detto dalla pazienza dimostrata nel mantenere una pronuncia cristallina e perfettamente comprensibile, notando il mio interesse, mi offre questa sorta di corn flakes per la colazione del giorno dopo, ma rifiuto (riciclando però la battuta alla visita successiva).
Il culmine non poteva essere che l’assaggio – o meglio - il bicchierino di commiato tanto anelato dai visitatori infreddoliti.
Alle 16 in punto, giusto in tempo per unirci all’ultima visita della giornata, siamo alla Glenlivet, e dopo gli avvertimenti di rito (“spegnete i telefonini, non scattate foto, non vi attaccate alle botti…”) percorriamo corridoi e sale dell’altra distilleria, ormai conoscendo a memoria la storia e desiderando solo la degustazione finale di un secondo sorso di “acqua della vita”, ma ecco che l’imprevisto giunge a rompere la noia del déjà-vu.
La visita prevede una sosta nella sala di fermentazione, dove in enormi serbatoi il mosto - a contatto con il lievito - si trasforma in una specie di forte birra torbida. La nostra guida apre lo sportello per consentirci di curiosare all’interno, ma ci avverte di non affacciarsi troppo, perché l’odore è alquanto pungente. Una coppia di canadesi di mezza età ha l’onore di aprire le danze: la moglie si sporge appena, e subito ritrae la testa in una smorfia di disgusto, il marito, forse per dimostrare di essere più resistente, o forse solo per curiosità, inserisce l’intera testa nella finestrella e…. beh, se gli avessero sparato una pallottola sarebbe rimasto forse più composto: si piega in due, fa una decina di passi tossendo rumorosamente, gli occhiali in mano per potersi asciugare le lacrime e sull’orlo di un conato di vomito, sotto lo sguardo attonito di sua moglie, della guida e di tutti i visitatori. Tra cui il valoroso Duncan “Massy” MacMarran, anch’egli scoppiato in lacrime, ma per un irrefrenabile attacco di risa, che contagia anche i suoi amici, che non smetteranno più di sghignazzare fino al meritato bicchierino ristoratore di “Glenlivet 21 years”.

(Mauro, 20/10/04)


Il carattere del BlueSky Hostel

Le guide turistiche Lonely Planet sono considerate quasi all'unanimità le più attendibili in quanto a segnalazioni di alloggi, ristoranti, locali. Giunti infine alla grigia città di Glasgow, ultima tappa del nostro viaggio, non abbiamo dunque alcuna remora ad avviarci verso l'ostello segnalato tra le pagine della guida di Massy, il "BlueSky", definito - cito a memoria - "Un po' improvvisato e fatiscente, ma ha carattere. Consigliato.".
In realtà, già il nome fuori luogo avrebbe dovuto metterci un po' in allarme - non credo che i glaswegiani abbiano molta familiarità con cieli azzurri - ma vista la distanza tra la stazione dei pullman e Berkeley St. (diversi chilometri percorsi con borse sempre più pesanti e sotto la tipica pioggerellina insistente) non abbiamo tempo per considerare eventuali alternative, né tantomeno per pesare i due aggettivi usati dal recensore. "Ha carattere, andiamoci".
La via in questione si rivela un po' squallida, una rumorosa strada tangenziale separa il nostro quartiere dal centro di Glasgow. Al civico dell'ostello troviamo parcheggiato un vecchio pulmino giallo con pneumatici sgonfi con il nome BlueSky aerografato e un cassonetto rigurgitante sacchi neri colmi di spazzatura.
Entriamo. Ci accoglie, o meglio, incontriamo - vista l'assenza di una reception - un tizio allampanato che ci indica il piano superiore, dove veniamo invitati ad entrare nella lounge room: tre divani con occupanti stravaccati sopra e quintali di oggetti, riviste, polvere, bicchieri; una ragazza (la receptionist) raccoglie i nostri dati per copiarli sul registro mentre gli altri (a questo punto ci sfugge ancora la distinzione tra il personale e gli ospiti, ma scopriremo che il pluritatuato gestore Todd pernotta in salotto sdraiato sotto un plaid) apparentemente commentano la nostra provenienza e il nostro aspetto; al contrario noi evitiamo di commentare il loro, ma una forte prevalenza di punk, unita all'ambiente, pieno di locandine fotocopiate e murales non può che richiamarci alla mente il Villaggio Globale o altri centri sociali.
La ragazza ci fa scegliere tra la stanza da quattro letti, a prezzo leggermente maggiore e l'enorme dormitorio da sedici denominato "Trainspotting" in onore del romanzo dello scozzese Irvine Welsh, nome che più tardi avremmo trovato alquanto appropriato. La scelta ricade ovviamente sulla prima.
Sorvoliamo sulle lenzuola strappate dai troppi lavaggi: "è carattere, significa che le candeggiano", sulle reti cigolanti: "cosa volevamo per 11 sterline?", ma poi scopriamo che la finestra ha il telaio di legno spaccato e non si chiude: "abbiamo il piumone, non sentiremo freddo", che al lavandino del bagno manca il rubinetto dell'acqua fredda: "useremo l'acqua della doccia", che per entrare nella nostra stanza dobbiamo transitare in quella dei trainspotters e tapparci il naso, con il rischio di rimanere chiusi dentro a causa della chiusura a scatto ed asfissiare - infine, la tanto decantata colazione inclusa nel prezzo svanisce nel nulla quando entriamo nella cucina-letamaio e scopriamo che oltre ad una colorita comitiva mista di hippies, punk e metallari con tozzi di pane e burro nella mani e avvolti in un aroma di canapa indiana, non rimane nulla di vagamente commestibile. Ma il carattere, certamente quello non è mancato.

(Mauro, 21/10/04)


Cibo per gatti

Nei nostri 12 giorni ci siamo nutriti quasi sempre di cose spaccafegato, ma ciò che vidi quel giorno supera tutto e rimarrà per sempre stampato indelebilmente nella mia pur labile memoria..
Durante la mattinata, nella ridente (ma sarebbe meglio dire Beffarda..) cittadina di Elgin, fermi davanti alla vetrina di un macellaio, Cri vede un'invitante torta rustica, e decide di acquistarla..per poi poterla dividere con i suoi compagni di viaggio..dicendo: "Non si sa mai, alle brutte la cena ce l'abbiamo..."
Molto previdente, però non c'era scritto sulla confezione che il "pacco" era provvisto di sorpresa..
Dopo una lunga giornata stancante ma soprattutto intensa, trascorsa tra la degustazione dell'acqua della vita, fiumi rossi di torba, voragini apertesi sull'asfalto e ricerca disperata di un B&B, giungiamo nella sistemazione che si rivelerà la migliore di tutto il viaggio.
Ci sistemiamo finalmente nella stanza..fantastica, gigantesca, bagno immenso, rifiniture di lusso.. Le circostanze sfortunate/fortunate che ci hanno condotto sin qui magari saranno narrate da altri..:)
Ci rilassiamo con il solito thè, divenuto ormai un atto imprescindibile per noi, che espletiamo sempre dopo aver preso possesso del nostro giaciglio..
Dopo esserci scaldati le infreddolite (manco tanto) membra adocchiamo la famosa torta rustica.
"Vabbe' rega', intanto ci mangiamo questa, poi se abbiamo ancora fame usciamo e andiamo a cercare qualcosa.."
Io dopo aver mangiato la mia porzione di fame non ne avrò più molta, ma non per il motivo che pensate..
Cri si occupa del taglio e cosi viene fuori la prima sorpresa: a differenza delle nostre lo strato di pasta è sottilissimo, e quindi tutta la torta si riduce ad un involucro ripieno di..CIBO PER GATTI.
L'aspetto è lo stesso dell'interno di una confezione di Wiskas..l'odore forse anche peggiore.
Con coraggio ci apprestiamo ad assaggiare, in fondo spesso le apparenze ingannano dico io..
Manco pe'r cazzo (perdonate il francesismo) e per poco non vomito..Cri fa lo stesso.
Nel frattempo "The Haggis's eater" alias Mauretto, che mentre noi degustavamo era in bagno, esce e spalanca gli occhi alla vista di tutto quel "ben di Dio" rimasto sul tavolo..
Dapprima con grazia e meticolosità si serve la sua piccola porzioncina (ina per modo di dire..3g di pasta, 30g di "quella cosa" sopra) e se la pappa a piccoli morsi.. Noi aspettavamo di vedere la sua reazione che immaginavamo non troppo dissimile dalla precendente nostra..
Mauretto spalanca gli occhi..eccolo là, penso, sta per vomitare..ed invece lui fa: "Ottima questa carne, m'ha fatto venì fame!" ed incomincia ad inglobare con una ferocia e una foga che non avevo mai visto in altro essere umano (vedere foto che documentano il fattaccio..)
I conati che prima avevo trattenuto a stento tornano a farsi sentire, dovuti alla vista dell'uomo che si avventa così su di un animale che sicuramente era stato macellato la sera prima..oltre che all'odore sanguinolento che intanto continua a espandersi per la stanza..
Lo imploro di smetterla ma lui niente..deve saziare il suo appetito e non si fermerà fino a quando non saranno rimaste che le briciole..
Dopodiché usciamo finalmente per la cena..mi mangio il mio caro Eglefino, che al confronto sembrava un piatto da re..ma una cosa non ha mai smesso di tormentarmi: il ricordo di come i morsi della fame possano far diventare la vera M***A una pietanza pregiata..:)
GRANDE MAURETTO!!!!!!!!!!!:))

(Massy, 21/10/04)


Single track road

Come sapete, in Scozia si guida a sinistra.
E' una delle cose che hanno ereditato dai fottuti inglesi.
Ma gli scozzesi hanno fatto di meglio: per evitare il disagio di guidare al contrario hanno tagliato la testa al toro: fare delle strade ad un unica corsia valida per entrambi i sensi di marcia, cosi almeno uno non rischia di percorrerla contro mano!
A parte gli scherzi..il pensiero di queste strade ci terrorizzava, o meglio, terrorizzava il sottoscritto, immaginando macchine lanciate a tutta velocità verso un pauroso frontale, oppure una pecora capobranco intenzionata a non cedere il passo...costringendomi o ad abbatterla (giuro che a volte c'ho pensato..) oppure, in mancanza di un passing place nei paraggi, ad aggirarla passando sull'erba..ma che erba..muretti d'erba, visto che era alta non meno di 20cm, para para e fittissima..
I passing place..ormai vi abbiamo fatto una capoccia cosi, ma per chi ancora non sappia cosa siano si tratta di piazzole situate ogni 50m circa, che servono per farsi da parte quando si incontra un'altra auto, oppure all'occorrenza anche per farsi superare, come raccomandato dai numerosi cartelli posti dalle gentili (ed invisibili) guardie del luogo..
Anche se l'uso che ne facevamo maggiormente era come piazzola di sosta, soprattutto quando eravamo desiderosi di respirare aria pulita..le sigarette appunto..:)
Insomma, ero intimoroso e incuriosito da questa novità.
Venne cosi il nostro primo giorno sulle Highlands e così anche le prime Single Track..
Si procedeva molto lentamente, sia per non rischiare di finire in qualche burrone, sia per ammirare il paesaggio mozzafiato..senza dimenticare le solite fottute pecore che, nei rari momenti in cui solevano distrarsi dal loro ininterrotto ruminare, usavano passeggiare proprio nel centro della strada..
"Eccola, la prima auto che procede verso di noi"..."Anvedi, già s'è fermato..ma sta lontano 500m!"..."Ma che se lampeggia..cazzo vole 'sto scottish??"..."Ahh..è il loro segnale per lasciarci passare..eccolo, ringraziamolo va'..THANK YOU MAN!", seguito da un ampio gesto della mano..
"Ne arriva un altro, facciamolo passare noi stavolta, vediamo se il bastardo ringrazia..". E lui come risposta alle nostre domande non alza neanche le sue manine dal volante, ma si limita a sollevare il dito indice, seguito dall'immancabile flashata.. "Gentili però 'sti scottish eh..hai visto quel vecchietto..sta a schiattà ma ancora saluta gli sconosciuti!".
Si va avanti così per giorni, passando, facendo passare, insultando..perché dovete sapere che non tutta la popolazione indigena è cortese..ci sono molti cortesi pezzi di merda che ti puntano con i loro camion, che ci sia o meno una maledetta piazzola, e ti costringono a ripiegare fuori strada..piccoli bastardi!
Così, dopo un po' incominciarono a pesare anche a me le mani per il saluto, trasformatosi nel frattempo dal "THANK YOU MAN!" iniziale in un più formale "HI MAN..".
Ma dopo 3-4 giorni, passata la novità, non ne potevo più di queste cavolo di strade..soprattutto se bisognava percorrerle per più di 200Km, ops, 125mi..e così l'esclamazione (in versione censurata :)) che mi si sentiva dire più spesso era: "Porco Zio, un'altra cavolo di Single Track!!".
E giunti così all'n-esimo veicolo incontrato elevato al cubo (non un numero così alto in fondo, stiamo parlando sempre delle Highlands!), alla n-esima pecora distratta elevata all'infinito (stavolta senza esagerazione..) il nostro atteggiamento era radicalmente cambiato: basta ringraziamenti, basta saluti..
"Basta, passamo sempre noi, che si fottessero, me so' stancato de stamme sempre a ferma'!".
Per quanto riguarda le pecore invece non ci si fermava più sul serio, si suonava e basta..della serie: "o te sposti o t'acciacco"..in fondo che l'abbiamo pagata a fa' l'assicurazione supplementare??
E cosi non più l'entusiastico "THANK YOU MAN!"..neanche il più cordiale ma stanco "HI MAN"...
...Ma soltanto un secco e inequivocabile "FUCK YOU MAN!!!" :)

P.S.: Sia chiaro..io AMO le single track..non avrete mica capito il contrario vero??:)

(Massy, 21/10/04)


Il garage di Val

Nonostante l’aura avventurosa che verrebbe spontaneo associare ad un viaggio on the road per le selvagge Highlands scozzesi, non si può dire che il nostro viaggio non sia stato organizzato per tempo e in ogni dettaglio (grazie soprattutto al nostro “Duncan” Massy, indubbiamente il viaggiatore più assiduo ed esperto dei tre), a parte forse l’itinerario di ritorno verso Sud, lasciato volutamente aperto a decisioni dell’ultim’ora.
La prima questione ad essere chiarita, dato il nostro arrivo notturno all’aeroporto di Prestwick, è stata quella del primo pernottamento; scartata l’ipotesi di un accampamento di sette ore nello scalo per attendere l’apertura dell’agenzia di noleggio auto, apprendere dell’esistenza di un ostello della catena Independent Backpackers nel vicino villaggio di Monkton è stato un sollievo non da poco.
“Smithy-Andrews”, questo il nome, più che un ostello è descritto nelle guide come una dependance dell’abitazione di tale Val, un gentilissimo signore di età un po’ avanzata che – a richiesta – è disposto a preparare la colazione agli occupanti, alla maniera dei Bed & Breakfast.
Atterriamo a Prestwick in quasi perfetto orario nonostante la partenza da Roma-Ciampino abbia subito un cospicuo ritardo, come di consueto con Ryanair che evidentemente sovrastima i tempi di percorrenza per permettere infine al comandante di affermare trionfante di aver recuperato il tempo perduto. (Il viaggio d’andata merita di essere narrato altrove, tre ore di turbolenza e di tentativi falliti da parte di Cristiano di servirsi della toilette, ogni volta richiamato al suo posto dalle hostess al momento decisivo).
Andiamo alla ricerca di un taxi, un’auto bianca o gialla o forse un pomposo cab nero, come quelli londinesi. Dopo un quarto d’ora d’attesa realizziamo che il furgoncino delle consegne parcheggiato di fronte a noi non è in realtà che un tipico taxi scozzese con le fiancate coperte da iscrizioni pubblicitarie.
Montiamo a bordo, ed inizia una conversazione un po’ surreale con il tassista, separato da noi da un pannello insonorizzato e munito di un microfono per comunicare con i clienti. L’impatto con l’interlocutore anglofono è inizialmente un po’ traumatico (e si sprecano i “sorry?”, “pardon?” e qualche poco educato “what?” ma anche: “che sta a di’?”), così come l’impatto con la corsia sinistra della carreggiata, ma dopo cinque minuti scarsi siamo già al civico 31 di Main Street a Monkton.
Ecco il buon Val aprire silenziosamente la porta e domandare al primo di noi che gli si presenta: “Masimilianow? Ah yes, welcome...”; l’ostello non è raggiungibile dalla casa, così il nostro albergatore ci chiede di seguirlo nel buio totale, conducendoci per campi d’erba bagnata e fango; distinguiamo chiaramente le porte di un campo di calcio oltre l’acquitrino, e infine ecco il garage!
Perché questo era lo “Smithy-Andrews”: un capannone, in passato destinato al parcheggio dell’auto di famiglia, con la serranda appena nascosta da tendaggi, il tetto di lamiera e le nere pareti trasudanti umidità.
Ora, questa mia descrizione non deve suonare troppo negativa, non nego che all’interno l’ambiente avesse qualcosa di familiare e rassicurante: una stufetta a legna accesa, tre paciosi ospiti profondamente addormentati e i nostri giacigli con tanto di piumone rosa ripiegato “ad invito”. Quella notte, preso dall’eccitazione del viaggio o forse dall’abuso di caffeina, non dormirò molto e avrò quindi modo di memorizzare altri dettagli di quella camera insolita e un po’ pacchiana: un frigorifero bianco-nero a forma di panda con tanto di orecchie è però il solo particolare che mi resta impresso ad oggi.
Al nostro risveglio la mattina successiva, l’occupante del materasso singolo posato in terra ha già fatto le valigie e lasciato la camera; facciamo conoscenza invece con la coppia di ragazzi tedeschi del matrimoniale: “dove siete diretti?” ci chiedono, “a Nord…” la nostra laconica risposta; il tempo di saggiare l’aria frizzante del mattino (un cambiamento gradito rispetto al caldo settembre romano), della sigaretta di rito dei miei compagni tabagisti e diciamo addio alla prima delle nostre dieci case scozzesi, in un taxi bianco senza scritte pubblicitarie.

(Mauro, 22/10/04)


No vacancies (o La fattoria)

Non credo di ricordare il momento esatto in cui ciò è avvenuto, ma al nostro arrivo nelle Highlands decidemmo all'unanimità di abbandonare l'idea di pernottare negli ostelli, e di elevare finalmente il nostro tenore di vita optando per i Bed&Breakfast.
Un vantaggio innegabile, a parte le comodità extra, era la numerosità di questo tipo di alloggi: decine di case in ogni paese, contro i due o tre ostelli per di più a rischio pienone in un periodo ancora relativamente vicino alla stagione estiva.
Il settimo giorno del nostro viaggio avevamo evidentemente raggiunto una fiducia quasi spavalda nella nostra buona stella, e dopo esserci attardati nelle distillerie dello Speyside ed aver trovato strade beffardamente chiuse al traffico dopo decine di miglia percorse a vuoto (un cattivo auspicio da non ignorare, visto a posteriori), decidemmo di tornare sui nostri passi e di riprendere la via per Elgin - città già visitata la mattina - in cerca di un B&B, "ché tanto anche se è tardi ce ne saranno quanti ne vuoi…".
In effetti, le cose parevano mettersi nel migliore dei modi: appena entrati in città accostiamo davanti ad una casa con un cartello B&B in bella evidenza ed una porta a vetri smerigliati con il disegno di un cigno. Notiamo però tre ragazze trascinare all'interno della stessa casa le loro valigie, e la cosa ci suona un po' come una beffa: prenderanno possesso dell'unica camera tripla rimasta disponibile.
La proprietaria del B&B, impietosita dalla nostra malasorte, per aiutarci a trovare una sistemazione alternativa ci mette in mano un volantino fotocopiato con gli indirizzi degli altri alloggi di Elgin, avvertendoci però che quel giorno erano arrivati parecchi forestieri in città: "non sarà facile, in caso provate a Lossiemouth, qualche miglio più avanti verso la costa".
Non diamo troppo peso alle parole della cassandra elginese: "quando mai abbiamo avuto problemi a pernottare?", e montiamo in macchina fiduciosi diretti verso il primo indirizzo della preziosa lista.
Scendo davanti ad un cancelletto di ferro battuto, suono il campanello, e quando un ragazzo si presenta sull'uscio ripeto la formula ormai sperimentata: "Good evening, are there any vacancies for three people?", solo per essere fissato con grande sorpresa - quasi avessi chiesto indicazioni per la Tour Eiffel - e sentirmi rispondere dopo qualche secondo di pausa: "mi dispiace, ma qui non affittiamo più stanze da sei o sette anni!". Provo a spiegare che la sua casa viene citata in un elenco compilato ad uso dei turisti, ma ottengo solo l'effetto di amplificare la perplessità nello sguardo del mio interlocutore, quindi taglio corto e torno in macchina a riferire.
Poco male, sulla stessa via ne è segnalato un altro, andiamo e scopriamo che al civico in questione c'è l'insegna di una piccola galleria d'arte e le numerose tele e i cavalletti che intravediamo dalle finestre tolgono ogni residuo dubbio in proposito.
E' in questo momento che l'impazienza prende il sopravvento sulla calma fin qui ostentata: che fare, continuare a cercare ad Elgin o andare verso la costa? Stracciamo il maledetto volantino, e ci ostiniamo a percorrere le numerose traverse notando diverse insegne B&B alla luce ormai fioca del crepuscolo e altrettanti cartelli "No vacancies", ciascuno accolto da un'imprecazione, come fossero stati messi lì in mostra appositamente per sbeffeggiarci.
La prospettiva di usare impropriamente la Fiat Punto come camera da letto si fa sempre più realistica, resta solo da provare a Lossiemouth: ormai non confidiamo affatto nei consigli della cassandra elginese, ma non avendo nulla da perdere ci immettiamo comunque sulla Statale 941. Percorriamo poche miglia (altrettante ci separano dal paesino costiero) quando Cristiano nota come in un miraggio un'indicazione B&B con una freccia diretta a sinistra verso la fitta campagna, nei pressi di una base dell'Aeronautica Militare. Invertiamo la marcia, e seguiamo una buia stradina sterrata che si inoltra salendo nel verde verso un casale parzialmente illuminato.
Giungiamo nei pressi di una porta di servizio, sul retro dell'enorme casa bianca, e - rendendomi conto di essere il solo ad aver contenuto lo sconforto - lascio gli altri a fumare nervosamente e mi avvio a bussare a quella che si rivelerà la porta-finestra della cucina.
Mi accoglie la proprietaria, una signora tra i quaranta e i cinquanta con capelli corti vistosamente ossigenati (la "Spice Woman", come sarà poi ribattezzata) che mi fa cenno di spostare l'auto davanti all'ingresso principale; mi mostra la casa, piuttosto lussuosa per essere al centro di una fattoria, e la nostra camera: una spaziosa family room da ben cinque letti, tra cui un matrimoniale veramente maestoso che - per un fortunato gioco di turnazioni - quella notte spetterà a me e nel quale presto sprofonderò addormentato sotto un soffice piumone, dimentico delle cassandre e dei caccia della R.A.F. che ci sfrecceranno sulla testa per l'intera notte.

(Mauro, 23/10/2004)


About Highlands..

Quando iniziammo a progettare questo viaggio non avevo ancora ben chiaro cosa aspettarmi da questo paese.
O meglio, anni fa gli diedi una rapida occhiata, ma fu uno SGUARDO molto superficiale..vidi solo alcune citta'.
E come disse una volta il buon Philip, uno dei nostri cordialissimi padroni di casa, riferendosi ad Edinburgo: 'Se avete visto solo Edinburgo, non avete visto la Scozia..'.
Beh, con il senno di poi non posso che dargli ragione.
Sarebbe una prova assai ardua condensare tutte le sensazioni e le emozioni provate in poche righe, senza il rischio di fare un banale elenco di tutto cio' che mi ha colpito..ma e' proprio quello che tentero' di fare.

Ho sempre concepito il viaggiare come un ininterrotto essere in movimento, qualcosa in continuo divenire, un fiume nella cui corrente potersi lasciar andare..con la curiosita' e la voglia di scoprire sempre cosa si cela dietro la prossima curva..
Restando al di fuori dei comuni canoni turistici..sperimentando una piena immersione nelle abitudini, nelle usanze e nei modi di fare del paese che si va a visitare.
Nella mia fantasia, e per quello che avevo sentito dire, ho sempre accumunato la Scozia all'Irlanda, altro paese da me molto amato, il piu' amato.
Ma cio' che ho trovato mi ha sorpreso oltre le piu' rosee aspettative.
Ho sempre sentito,visto e letto molto delle Highlands..ma nessun racconto, neanche questo mio umile, ne nessuna foto, possono in qualche modo rendere giustizia alla maestosita' e grandiosita' di quei luoghi.
Il paesaggio in continuo mutamento..dove un attimo prima ti trovi circondato dalla desolata brughiera, e l'istante successivo ti trovi immerso in una vegetazione cosi lussureggiante di cui non hai mai visto uguali..
Sempre pero' con lo stesso denominatore comune..la natura a farla da padrona..assoluta, incontrastata.
A ricordarti in ogni istante quanto siamo insignificanti e con quanta facilita' potremmo venir spazzati via se un giorno lei decidesse che cosi dev'essere..
Ho amato il suono del silenzio, la poesia dei fiori, le nubi che si rincorrevano veloci nel cielo blu cobalto..quando questo si intravedeva..
La voce del vento ululante sull'isola di Skye, selvaggia come solo puo' essere qualcosa che si rifiuta di venir toccata e manipolata da essere alcuno.
"Cio' che vedi e' cio' che sono"..cosi diceva qualcuno..e le Highlands sembrano dirti la stessa cosa..o le ami o le odi. Il condividere tutto cio' con 2 persone a cui tengo molto, ognuna unica a modo suo..

Grazie per aver vissuto questo sogno..e grazie alle Highlands e a tutti i posti come questo per esistere ancora..in un mondo che si va velocemente inaridendo..in tutti i sensi.

(Massy, 4/11/04)


to be continued... ;-)